Esistono parole che, appena pronunciate, collochiamo istintivamente in una immaginaria lavagna, alcune dalla parte dei buoni, altre in quella dei cattivi. La parola “artigiano” evoca, immancabilmente, sensazioni positive ed attiva nella nostra mente immagini di mani esperte e laboriose intente a realizzare oggetti che sono in grado di risolvere i nostri piccoli problemi quotidiani ma, al tempo stesso, piacevoli da vedere e da mostrare a chi ci circonda.

 

ARTISTI E ARTIGIANI

     Di fatto, l’artigiano e l’artista sono due fratelli gemelli che una volta usciti dalla culla hanno preso strade diverse: possono aver sviluppato le stesse abilità ma al primo è toccato di operare nell’ambito della piccola comunità in cui è nato mentre l’altro è finito a lavorare per il Re, il Papa, il Duca, il Vescovo di una diocesi importante. Al primo vien chiesto di intagliare la testata del letto di una giovane sposa contadina, all’altro gli scranni del coro della Cattedrale. Così finisce che degli artisti passa alla storia il nome mentre degli artigiani passano alla storia le opere.

NON CI SONO PI
ù GLI ARTIGIANI DI UNA VOLTA?

 

     Con il passare degli anni, purtroppo, l’immagine dell’artigiano che abbiamo scolpita nella nostra mente, al cospetto della realtà quotidiana, ci si prospetta sempre più sbiadita. Dobbiamo ammettere che l’esclamazione “non ci sono più gli artigiani di una volta!” è sempre meno banale e retorica. Ci ha messo lo zampino l’industrializzazione, l’automazione, la globalizzazione e, non ultima, la nostra fumosa burocrazia. Pensiamo all’ebanista, alla ricamatrice, alla cappellaia, all’orafo, al tappezziere e non ci verrebbe certo in mente che, invece, è un artigiano con tutti i crismi il ragazzotto che con il furgone ci porta a casa la spesa del supermercato.
     Ma - attenti – è un artigiano solo se la ditta per cui lavora conta un massimo di 8 dipendenti!

 

ARTIGIANI PER LEGGE (E FUORILEGGE)


     Perché la legge dice che, se a trasportare merci, fare traslochi o portare alla discarica i calcinacci residui di una ristrutturazione lo fa una ditta con più di 8 dipendenti, allora si perde il requisito di artigianalità e ci stiamo rivolgendo ad un industriale.

Poi, c’è un altro rovescio della medaglia: ad ogni pié sospinto ci imbattiamo in birre artigianali, vini artigianali, pasta artigianale, salumi artigianali.

     Anche qui il nostro immaginario si inganna da solo e ci induce ad indentificare nel “sapore” l’attribuzione della qualifica “artigianale”, usata disinvoltamente per ammantare di fascino prodotti che escono spesso da aziende che contano decine e decine di dipendenti oltre il numero massimo stabilito dal burocrate.

     A dispetto di quanto sopra, nelle pagine che seguono troverete un panorama, regione per regione, di quanto sopravvive (e, in qualche caso, di quanto ormai è solo un ricordo) dell’artigianato artistico e tradizionale italiano, evolutosi, consolidatosi e caparbiamente sopravvissuto attraverso i secoli. 

 

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