Con colpevole ritardo, nei salotti come nelle stanze del potere, sulle pagine dei giornali come nelle bacheche dei social media, si disquisisce e si discute di Intelligenza Artificiale, mettendo in mezzo un bel caravanserraglio di luoghi comuni, frasi fatte, leggende metropolitane, fischi spacciati per fiaschi e viceversa. Il tutto facendo ruotare le elucubrazioni intorno a due perni – matematica e scienza - che dovrebbero essere distinti ed invece vengono tirati in ballo come fossero intercambiabili o, addirittura, sinonimi.
Correttamente, bisognerebbe partire da una netta distinzione tra queste due categorie del pensiero umano relativamente alle quali da tempo immemorabile si fa una grande confusione, a scuola, nella vita pratica di tutti i giorni e sui media.
La matematica nasce dall’esigenza di risolvere i problemi.
La scienza nasce dall’esigenza di spiegare i fenomeni.

 

CONTARE, PESARE, MISURARE E METTERE TUTTI D'ACCORDO

Tutte le civiltà primitive si sono trovate ad affrontare problemi ricorrenti ed hanno elaborato sistemi per risolverli. I problemi ricorrenti erano la misurazione delle merci, delle distanze, delle aree, del tempo. Imparare a “misurare” risolveva problemi relativi alla proprietà dei terreni, alla remunerazione degli scambi di merci, alla tempistica degli spostamenti. In ambito civile ma, soprattutto, in ambito militare (dallo studio della balistica nascono una infinità di verità matematiche e geometriche).


Un errore di calcolo, nella vita civile poteva portare alla povertà o alla fame. Nella vita militare poteva portare alla morte.
In Oriente e nel mondo arabo le proprietà matematiche del cosiddetto Teorema di Pitagora erano note e applicate già da secoli per la misurazione dei terreni e portavano a risultati così precisi che venivano utilizzate per determinare la dimensione delle aree nei passaggi di proprietà, senza costringere le parti a lunghe e faticose misurazioni di tutti i confini. Gli abitanti dell’antico Egitto venivano coinvolti in litigate furibonde dopo ogni piena del Nilo che, mentre fertilizzava i terreni, al tempo stesso cancellava i confini. Per risolvere questo problema furono inventati sistemi di calcolo che sono stati il seme e la base della moderna trigonometria.


Una volta trovato il modo di risolvere il problema, possedendo l’uomo il bagaglio dell’intelligenza, si è cercato di standardizzare la tecnica inventata facendola approdare ad un sistema di regole che fossero inconfutabili e, quindi, accettate da tutti.

 

IL TEOREMA ASSOLUTO MA NON TROPPO

Di qui nascono le cosiddette “scienze esatte” e noi attribuiamo a Pitagora il famoso teorema solo perché fu lui il primo a dimostrare che quel metodo di calcolo è inconfutabile. Ma la sua dimostrazione è valida solo se i due lati da cui si prendono le mosse hanno una dimensione “finita” ovvero la loro rappresentazione numerica non è un numero infinito (come il Pi greco) o periodico. E la ragione per cui Pitagora è costretto a dichiarare il teorema “assoluto” ma limitato alle sole dimensioni finite, è perché la sua dimostrazione è geometrica e non numerica. Da cui ne consegue che, se parti da un disegno (ovunque esso sia tracciato: un foglio, una lavagna, un terreno) i lati degli infiniti triangoli retti che puoi disegnare non possono avere altro che una dimensione “finita”.
Ne consegue che i risultati delle “scienze esatte” sono tali in assoluto. Qualunque sia l’ambito, la cultura, il tempo, la latitudine in cui vengono presi in considerazione.


La “scienza”, invece, serve a spiegare ciò che succede: si ammalano contemporaneamente e nello stesso modo decine di migliaia di persone e la scienza cerca di capire come mai si è verificato quel fenomeno. Quando sembra che lo abbia capito, cerca di trovare dei rimedi (l’antipiretico, il vaccino, il busto, i punti di sutura, lo psichiatra) ma tutti derivati dalla spiegazione del fenomeno che ha saputo elaborare. Quando la scienza non riesce a spiegare un fenomeno, si tende ad attribuirne la causa in qualcosa di soprannaturale: i fulmini li scagliava Zeus per punire le malefatte di una persona; al suo apparire l’AIDS veniva considerato una punizione divina che colpiva le frange deviate della popolazione, gay e drogati in primis.
Ne consegue che i risultati della scienza sono tali “fino a prova contraria”.


Chiarito quanto sopra, nel momento in cui disquisiamo di Intelligenza Artificiale, dovremmo sempre distinguere se vi ricorriamo per “risolvere problemi” oppure per “spiegare fenomeni”. Ovvero se, alle nostre interrogazioni ci aspettiamo risposte “assolute” oppure risposte “valide fino a prova contraria”.
Il fatto che a monte ci sia un procedimento matematico non garantisce risposte assolute (anche la medicina – che non è una scienza esatta -  basa le sue ricerche su calcoli matematici).

L'ALGORITMO HA CAMBIATO PELLE

L’impero dell’algoritmo è determinato dal fatto che il suo utilizzo originario è stato finalizzato alla soluzione dei problemi mentre ora è dilagato anche nella spiegazione dei fenomeni. Di questo dovremmo renderci conto ogni volta che affrontiamo le problematiche relative alla Intelligenza Artificiale. Ovvero: vi ricorriamo per risolvere un problema oppure per spiegare un fenomeno? In entrambi i casi il nostro input ha pressoché le stesse caratteristiche ma l’output sarà strutturalmente (e culturalmente) diverso.
Insomma, anche in questo ambito, si ripropone il dualismo “scienze” e “scienze esatte”, esattamente nelle stesse forme in cui si propone il dualismo “giustizia” e “morale”.
La giustizia arriva a conclusioni valide fino a prova contraria, la morale emette sentenze assolute.
Per capirci: io posso uccidere una persona e la giustizia può arrivare alla conclusione che sono innocente e mi assolve. Nello stesso caso, la morale non mi assolve e, se anche la giustizia non mi considera un assassino, per la morale sono “inappellabilmente” un assassino.
È per questo che, in tutti i sistemi democratici, la giustizia prevede vari livelli di giudizio: per lasciare una porta aperta alla eventuale “prova contraria”. Ed è ancora per questo che tutti i regimi totalitari tendono a far convergere giustizia e morale, rendendo così la “propria” giustizia funzionale all’affermazione della “propria” morale.