Il primo vero social network, Facebook, è nato come bacheca per gli studenti dell’Università di Harvard ed è stato stupefacente osservare, appena ha preso piede, la faciloneria con cui i politici hanno approfittato di questa bacheca (per non parlare di Twitter e Instagram) pensando di poterli usare a proprio piacimento e vantaggio...
Oggi, soprattutto ad opera di quei politici che hanno cavalcato per primi i social network, si levano grida di dolore e richieste di rigorosa regolamentazione, tutte correlate ad uno sgomento, ad un momento di crisi, ad una sensazione di impotenza patita proprio da quei potenti che, per primi, hanno cercato di approfittarne.
Se sulla bacheca di una facoltà universitaria prendessero il sopravvento i post dei professori e del rettore, tutti gli studenti la diserterebbero. O rimarrebbero solo quelli che appiccicano foto del loro gattino, del cane e dell’ultima ricetta cucinata.
La sopravvivenza dei “social” non è legata a regolamentazioni di sorta cui si dovrebbero attenere quelli che ci sono dentro. È legata solo alle regole d’ingresso: basterebbe solo stabilire chi può entrare. E vietare l’ingresso a tutti quelli che non rappresentano se stessi ma rappresentano (o credono di rappresentare) partiti politici, movimenti elettorali, gruppi di cui si fa parte per etnia, censo, comportamenti, fede religiosa o calcistica e affinità fondamentaliste...
Si potrà obiettare che sulla barca di Caronte poteva salire chiunque. Vero, ma quella barca portava all’Inferno.