Le qualità più comuni e più usate del fagiolo sono originarie dell'America tropicale e sub-tropicale e furono introdotte in Europa nel XVI secolo, col nome di Phaseolus vulgaris.

In realtà Greci e Latini parlavano anche loro di un phaseolus, ma si trattava di una specie differente, venuta dall'Africa, il cui nome scientifico è Vigna sinensis e quello comunemente usato "fagiolo dall'occhio", per una macchia circolare nera intorno all'ilo.

Le varietà coltivate oggi sono numerosissime, data la facilità con cui questo legume si presta ad incroci e variazioni. La composizione chimica dei fagioli è molto ricca, e si avvicina più alla carne che agli altri vegetali: oltre a una buona percentuale di proteine, sono molto ricchi di carboidrati e di sali minerali, mentre sono quasi privi di grassi.

Dal punto di vista alimentare, una prima distinzione riguarda il fagiolo colto quando il baccello è tenero ed immaturo ed il fagiolo colto a completa maturazione. Nel primo caso si ha il fagiolo mangiatutto, più noto come cornetto o fagiolino. Nel secondo caso, si ha il fagiolo da sgusciare, che può essere consumato sia fresco che secco.

I fagioli furono introdotti in Europa all'inizio del ‘500 (i primi a darne una descrizione scientifica furono i botanici Fuchs e Tragus, nell'anno 1542.) e la loro diffusione in Italia fu piuttosto rapida. Il primo autore italiano a darcene notizia è il Mattioli, che afferma: mangiati nei cibi gonfiano, e affamano lo stomaco, ma generano il seme virile, e sollecitano al coito, e massimamente mangiati con pepe lungo, zucchero e galanga.


Dal punto di vista gastronomico, poi, suggerisce di mangiarli cotti nel latte vaccino, fino che si rompono. Non fanno tanto affanno allo stomaco, quando si mangiano con senape e con cardi.

 

La pagina più bella è, in ogni caso, quella scritta dal Castelvetro perché alle notizie botaniche ed alle indicazioni gastronomiche affianca il ricordo di un divertente uso uso non alimentare:

Ho a pieno ragionato della fava fresca e secca; or qui mi conviene ragionar de' fagiuoli, frutto o legume molto simigliante a quelle di gusto: e di due spezie ne abbiam noi, né di niuna crudi mangiamo. L'una è de men communi e più grossi, li quali son tutti o bianchi over macchiati di rosso e di nero. L'altra spezie è dé più minuti e tutti bianchi e con un occhio nero nel ventre.

I primi si nominano turcheschi, li quali ascendono molto in alto; però chi non gli pianta vicino alle siepi conviene, volendone aver molto frutto, piantarvi a canto de' rami di fronde secchi, à quali appiccandosi possano in alto montare; e perché portano una bella foglia verde, le donne in Italia e spezialmente in Vinezia, ove son molto vaghe dell'ombra e della verdura e ancora per poter dalle finestre loro vagheggiare i viandanti senza da coloro esser esse vedute, usano di porre su le finestre delle camere loro alcune cassette di legno lunghe quanto è larga la finestra, e piene d'ottima terra.


In quella piantano dieci o dodici di que' fagioli a luna crescente di febraio o di marzo o d'aprile, e poi con bastoncini bianchi vi formano una vaga grata alla quale essi s'attaccano, sicché d'una piacevole ombra tutta la finestra adombrano. Gli ortolani ancora né coltivati loro fanno siepi di canne o di bastoni bianchi della canape, a canto alle quali piantano quantità di simile legume, e così vengono alla vista a rendere i loro orti più vaghi e maggior copia di fagiuoli raccolgono. I baccelli adunque di questo legume, mentre son verdi e teneri, né alla lor perfetta grandezza pervenuti, cocendoli tutti intieri e acconciandoli come dé lupuli ho mostrato, son molto buoni. Secchi poi se ne fanno buone minestre, cocendoli in otttimo brodo.

Gli altri, che casalenghi o nostrani chiamiamo, si seminano a staia né campi dopo la mietitura del frumento, né crescono molto alto da terra, ma vogliono essere tenuti molto studiosamente d'ogni altra erba mondi.

Di questi ancora ne mangiamo in baccelli verdi e teneri per insalata, e verdi, sgranati e secchi ne facciamo minestre da magro, e spezialmente quando aspettiamo i contadini che ci portino il raccolto, li quali quando si dà loro una buona scodella di simile legume con un pezzo di cacio il cui butirro non sia in mercato prima venduto, si tengono per ben trattati.


Gli cociamo poi nella seguente maniera: Mondi dà grani guasti o dalla terra, che alcune volte vi si trova, si lavano in acqua tiepida, poi al fuoco in un netto paiolo si mettono a cuocere con acqua sola, non a violento fuoco; et essendo mezzo cotti, di quella acqua si levano e in altra tiepida si mettono e insieme vi si mette del sale, dell'olio abastanza e pepe, ch'é il suo ver condimento, e così acconci per minestra ce li mangiamo.

Altri vi cociono insieme delle castagne secche e monde d'ogni lor corteccia, che non gli guastano punto. Essendo poi cotti senza il lor condimento, gli pestiamo molto bene; e un poco liquefatti, con la propria acqua loro per un sedaccio gli passiamo, e nel pistume che n'esce mettiamo miele e assai quantità di spezie forti, e di così fatto miscuglio torte e tortelli ne facciamo.

Le torte (di fagioli) cociamo o né forni o sopra tortiere di rame stagnato col lor coperto, e i tortelli friggiamo in olio, e senz'altro, overo con un poco di miele sopra, gli mangiamo.

 

Quasi due secoli dopo, nel 1781, assai più sinteticamente, il Corrado scrive che i fagioli sono di vari colori e di varie forme", e aggiunge, quasi con ironia, "se sian gustosi per cibo lo potron dire i fiorentini popoli, giacché più degli altri ne fanno in tutti i tempi grand'uso, particolarmente di quei bianchi secchi.


Oggi, il successo dei fagioli non resta minore e conferma ci viene dalle numerose ricette regionali create nel corso degli ultimi due secoli e tuttora in voga.

In Piemonte, ad esempio, li troviamo nella paniscia novarese, nella panissa vercellese, nella fagiolata con le cotiche alla quale si appaia la tofeja canavesana, poi nei tajarin e fasoi con i quali, nel Monferrato, si dava vita alla combinà ossia al mangiare una prima porzione e subito dopo una seconda, ma irrorata da un generoso bicchiere di Barbera. I lombardi hanno un ris rustì, un riso coi borlotti e poi ancora i classici fagioli con le cotiche.

Il Veneto è glorioso di paste e fagioli in varie maniere nonché di fagioli sofegai (soffocati).

Non meno tradizionali sono la jota triestina e i friulani fagioli col muset.

 

In Liguria é un classico la minestra di magro con i fagioli, mentre in Emilia sono ghiotti dei fagioli maritati, dei pisarei e fasò, e dei cazzagai.

I toscani, come ricordava il Corrado, nei fagioli ci guazzano: al bordatino livornese seguono fagioli in farinata, zuppa di fagioli, riso coi fagioli, fagioli al forno, al fiasco, all'uccelletto, alla fiorentina e chi più ne ha più ne metta.


Il Lazio annovera una sua pasta e fagioli, ma anche fagioli al corallo, fagioli lessi e fagioli con le cotiche. In Campania i fagioli vanno con la pasta e poi alla maruzzara. In Basilicata, infine, son celebri legane e fagioli, così come in Sardegna non mancano i fagioli alla gallurese.

 

LE PRIME RICETTE ITALIANE

 

E' ancora una volta Vincenzo Corrado, nella seconda edizione de Il cuoco galante a riportarci ea prime ricette italiane di fagioli, tuttora attualissime.

 

Fagioli in pottaggio da grasso (Vincenzo Corrado, 1781)

Siano i fagioli grossi bianchi, o pure i piccoli coll'occhietto si mettono a cuocere in acqua fresca, cambiandola dopo alcuni bolli. Si condiscono con sale, pepe, fette di prosciuto, sellari triti, petrosemolo, peparoli interi, e sugo di carne; e quando saran cotti se ne toglieranno i peparoli, e si serviranno.

Fagioli in pottaggio da magro (Vincenzo Corrado, 1781)

Bolliti i fagioli in acqua, si condiscono di sale, pepe e di cipolline, petrosemolo, bieta, boragine, aglio, e basilico, tutto trito, e soffritto con olio; e cotti che saranno si serviranno.

Fagioli alla fiorentina (Vincenzo Corrado, 1781)

Si cuocono i fagioli in acqua condita di sale, e cotti si servon con acciughe soffritte in olio, e conditi di pepe, e di sugo di limone.

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