Se il pomodoro può essere ormai considerato un prodotto tipicamente italiano, la patata ha assunto subito, appena attraversato l'Atlantico e superate le prime diffidenze, una sua dimensione europea.

Agli Italiani, invece, il merito di averla introdotta nella propria cucina nel modo più creativo possibile, trasformandola ed integrandola con altri ingredienti ed inventando una famiglia di ricette tutte straordinarie, dagli gnocchi alle crocchette, ai tortini, agli sformati.

Originaria delle montagne andine, dove era coltivata dagli Indios, particolarmente abili nelle coltivazioni d'alta quota, delle quali sfruttavano i terrazzamenti e la possibilità d'irrigazione, la patata costituiva una delle basi dell'alimentazione delle popolazioni del Perù e del Cile.

Nemmeno la patata fu uno dei prodotti scoperti e portati in Europa da Colombo (egli si imbatté unicamente nella "patata americana"). Furono gli scambi commerciali avviati dai conquistadores a portare la patata prima dalla zona andina in Messico e, poi, in quell'area dell'America Settentrionale che ora è denominata Virginia.

La prima autentica descrizione scientifica della patata va attribuita al botanico olandese Charles de L’écluse, meglio conosciuto con il nome di Clusio, che nel 1588, a Vienna, dove soggiorna, riceve due tuberi inviatigli dal governatore di Mons, accompagnati da un acquerello (il primo ritratto ufficiale della patata, oggi al museo Plantin di Anversa). Il Clusio assaggia i tuberi, ne riconosce il sapore gradevole e vicino a quello delle rape e ne stende una minuziosa descrizione per la Raziorum plantorum historia.


Nella seconda metà del Cinquecento, come fornitura alimentare, le papas raggiungono le guarnigioni di Filippo II nelle Fiandre, diffondendosi in quell'area dei Paesi Bassi e nella Germania renana.

Nel 1573 appaiono anche nelle forniture dell'Ospedale del Sangre di Siviglia per la dieta dei malati poveri ed in un dipinto di Bartolomè Esteban Murillo del 1645, San Diego le distribuisce a piene mani ai più miserabili.

In Irlanda la patata risolverà gravi problemi alimentari, ma provocherà anche un notevole incremento demografico tanto che qualcuno non mancherà di metterne in evidenza il potere afrodisiaco. Nel 1845, tuttavia, una malattia delle patate provocherà un'eccezionale carestia non soltanto in quel paese, ma anche in altre parti d'Europa, con conseguente esodo di migliaia di emigranti verso il Nordamerica. E nel giro di pochi anni New York si popolerà d'Irlandesi: diventerà New York anche grazie alle patate!


Nel 1771 in Francia viene indetto un premio per sostituire i cereali nell'alimentazione base: lo vincerà, proponendo la pomme de terre, il farmacista militare e agronomo Augustin Parmentier (1737-1813) che durante la guerra dei Sette anni (1756-1763) era stato prigioniero dei prussiani e aveva potuto constatare, in anteprima per un francese, le virtù delle patate: il grande Federico II era riuscito infatti, sia pur adottando le maniere forti, ad introdurre le kartoffeln anche nel rancio delle sue truppe, quindi anche in quello dei prigionieri.

Luigi XVI favorirà con entusiasmo le sperimentazioni di Parmentier, mettendogli a disposizione gli orti botanici reali. Il re giungerà anche ad adornare il suo panciotto con il bel fiore azzurrognolo di quella pianta, anche se per molto tempo, nonostante i suoi entusiasmi, questo prodotto si scontrerà le superstizioni e la diffidenza dei contadini, com'era già accaduto, del resto, durante tutto il '600 e per gran parte del '700, in altre parti d'Europa, dove nelle campagne si era attribuito alla patata la causa di gravi malattie epidemiche, come la scrofola e la lebbra.

Toccherà alla Rivoluzione Francese lanciare definitivamente la pomme de terre, sempre con Parmentier in prima linea: una benemerenza che gli permetterà di salvare la testa dalla ghigliottina e di suggerire alcune appropriate ricette per zuppe e contorni.

I suoi suggerimenti intesi a favorire l'uso della fecola di patate per la panificazione otterranno, invece, ben scarsi risultati. Il suo nome, comunque, rimarrà indissolubilmente legato ad un classico: la soupe Parmentier, un potage o passato di patate, porri, crema fresca, cerfoglio, sale e pepe.

Nel 1795, intanto, a Parigi esce La cuisiniere Republicaine, primo libro di gastronomia dall'inizio della rivoluzione, che presenta una delle prime ricette di patate della cucina europea: Les pommes de terre a' l'économique, una specie di polpetta di patate con carne trita, prezzemolo e cipolla.


Qualche anno più tardi, finalmente, uno dei più grandi cuochi di tutti i tempi, Antonin Careme (1784-1833), oserà presentarla tra i piatti della sua Haute Cuisine: nasceranno così le pomme de terre à la vanille e le deliziose croquettes.

Un percorso glorioso anche se più dimesso è quello che alle patate ha fatto compiere Napoleone Bonaparte: non sarebbe stata possibile la rapidità degli spostamenti - chiave di volta della strategia del grande corso - se le decine, perfino centinaia di migliaia di combattenti non avessero potuto trasportare ingenti quantitativi di patate al posto della farina di grano, di gran lunga più costosa, deteriorabile e di ben più complicata manipolazione.

Gli inglesi invece apriranno un'imprevista rotta, tutta loro, nel lungo viaggio delle future patatoes verso la Gran Bretagna e l'Irlanda. Il baronetto-corsaro Francis Drake (1514-1595), al servizio di Sua Maestà Britannica, nel 1587, dopo aver preso parte a una scorribanda nei Caraibi a caccia di galeoni spagnoli, carica a Cartagena (Colombia) un certo quantitativo di papas e si dirige in Virginia, nel Nordamerica, in soccorso di un gruppo di coloni inglesi che, dopo un primo infelice tentativo di colonizzazione, stavano morendo di fame, e li riporta in patria.

Probabilmente nelle stive delle navi devono esser rimaste delle papas se all'arrivo di Drake in Inghilterra esse sono viste, e probabilmente anche assaggiate, dal naturalista-botanico John Gerard, che le descriverà nel suo famoso Herball uscito nel 1597.

Da questo salvataggio in extremis dei coloni della Virginia nascerà un madornale equivoco: per circa due secoli e mezzo, fino al 1930, si crederà infatti, e non soltanto in Inghilterra, che le patate siano originarie della Virginia.

Verso il 1560 la patata arriva anche in Italia, ma solo come pianta ornamentale: e, verso la fine del 1600, la chiameranno "tartufo" e, come si usava allora, la daranno da mangiare ai maiali.


D'altra parte, al loro apparire, un po' ovunque, le patate erano state ritenute affini al tartufo. Tanto in Francia che in Italia, oltre a chiamarle truffes rouges e tartuffi, attribuiranno ad esse gli stessi poteri eccitanti e afrodisiaci di quelli veri, chiamati in Italia tartufoli o tartufali o tartufle. Da questo termine il passaggio a cartoufle, quindi al tedesco kartoffel, è stato breve.

La coltivazione della patata in Italia si diffonderà, a partire dalla fine del '700, in certe aree proprio a seguito delle campagne napoleoniche. Nel 1798, però, La cuciniera piemontese e più tardi, nel 1815, Il cuoco piemontese non hanno fatto ancora alcun cenno a ricette di patate.

L'anno prima il letterato Cesare Arici (1782-1836), pubblicando a Brescia una delle sue opere più note, La pastorizia, ne segnalava così la presenza: Ecco l'eletto pomo a parte a parte ingenerarsi dell'Italia in seno e più sterilglebe abbracciar lieto... Cerere applaude e i molti usi ne addita. Insomma l'Arici, più che le patate fritte, vede ancora l'"eletto pomo" adattissimo per il bestiame: Vedrai per questo in pingue adipe avvolgersi Delle pecore i fianchi, e via più denso Dalle turgide poppe uscirne il latte....


Alla quinta edizione de Il cuoco galante, invece, Vincenzo Corrado, già nel 1801, aggiungeva un Trattato delle patate, in cui presentava un ricco elenco di preparazioni: dalle patate in polenta, in crema, in polpette, in bignè, arrostite, ripiene al burro, e così via. Ed intuiva il prototipo, la prima ricetta delle ormai prossime venture "patate in gnocchi", naturalmente da rivedere e da ridimensionare: Cotte che saranno al forno le patate, la loro più pulita sostanza si pesta con una quarta parte di gialli d'uova duri, altrettanta di grasso di vitello e anche di ricotta. Si unisce e si lega dopo con qualche uovo sbattuto, si condisce di spezie e si divide in tanti bocconi lunghi e grossi come un mezzo dito, i quali infarinati si mettono nel fuoco bollente, e bolliti per poco si servono nel piatto incaciati e conditi con sugo di carne.

La vera ricetta, assai più semplice ed aggiornata degli gnocchi di patate - probabilmente d'origine piemontese, ma felicemente approdati in Liguria dopo l'annessione al Piemonte del 1815, a seguito del trattato di Vienna - la troveremo, insieme a quella del puré, chiamato ancora patate machees, nelle due Cuciniere genovesi con il battuto all'aglio (ovvero il pesto) e cacio parmigiano.


Le patate sono ormai entrate prepotentemente nella cucina ligure, sostituendo in molte preparazioni fagioli e ceci e cancellando definitivamente le "fave greche", alias "bacilli", accompagnamento tipico, per circa tre secoli, dello stoccafisso penitenziale. Per (il giorno de) i morti bacilli e stoccofisce non c'è famiglia che non li condisce, si diceva. Con l'arrivo delle patate si volta pagina. E lo stoccafisso in tocchetto o accomodato con le patate diventerà una vera e propria ghiottoneria. Ma le patate compariranno anche con la pasta, nelle classiche trenette e trofiette col pesto, accompagnate dai fagiolini americani.

Se la Liguria può essere definita, storicamente, la prima e la più vivace patria di adozione della patata, non ci misero molto ad allinearsi a questa tendenza nemmeno le altre cucine regionali italiane, ognuna, come al solito, arricchendo le sue ricette con una non comune carica di inventiva.

In Piemonte, le patate entrarono negli gnocchi e negli gnocchetti o "cabiette" di Rochemolles, oltre ad essere fatte lessate, fritte o arrosto, in purea secondo procedimenti comuni a tutta Italia.

Nel Trentino, ci fecero polente, frittelle e le "pinze", mentre in Alto Adige divennero l'ingrediente base per i "Kartoffeln Krapfen". In Friuli Venezia Giulia inventarono le patate in tecia ed il budino dolce di patate. In Veneto le sposarono al riso e Venezia se le fece alla veneziana. L'Emilia Romagna entrò in campo con un tortino, mentre i Toscani le preferirono zuppa.

Nel Lazio, oltre agli gnocchi, le vollero fritte in tocchetti e in tortino e nel vicino Abruzzo si inventarono di cuocerle "sotto il coppo". In Puglia, crearono una focaccia, una pizza e le "frittelle alla tarantina" ed in Basilicata, infine, le fecero morire col baccalà.

L'uso della patata é ovunque così vario e diversificato che, in ogni caso, chi cucina deve fare attenzione almeno al corretto utilizzo delle due principali categorie: quelle a polpa gialla e a polpa bianca.

Sono tutte e due ottime e dello stesso valore alimentare, ma la patata a polpa gialla è più sapida, più compatta e meno amalgamabile con altri prodotti, quindi indicata per quelle preparazioni in cui la patata è usata di per sé, come le patatine fritte o arrostite. Per gli gnocchi, purée e altri piatti analoghi sono invece da preferire quelle a polpa bianca.


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