Il pomodoro é forse il prodotto più emblematico tra quelli che caratterizzano la cucina italiana. Chiunque, in qualunque parte del mondo, sia venuto in contatto con la nostra cucina, non importa se saltuariamente o con frequenza quotidiana, é convinto che il pomodoro ne sia l'ingrediente fondamentale ed imprescindibile.
In realtà, l'ingresso del pomodoro tra gli ingredienti base della nostra cucina é piuttosto recente, ed il suo matrimonio con l'altro caposaldo gastronomico italiano, la pasta, non ha ancora celebrato il suo duecentesimo anniversario.
La strada che ha portato il pomodoro in Italia é lunga e prende le mosse dall'area sud-americana del Perù-Ecuador-Bolivia da cui provengono le specie allo stato naturale, mentre le qualità coltivate erano sviluppate nell'area precolombiana anche in Messico e nel resto dell'America centrale.
Il primo a darcene notizia è frate Bernardino de Sahagùn che, sotto forma di salsa, lo trova in vendita sull'immenso
mercato di Tenochtitlàn dove le donne erano solite mischiarlo in questa seguente maniera: aji (peperoncino), pepitas (semi di zucca), tomatl (pomodoro), chiles verdes
(peperoncini verdi piccanti) e altre cose che rendono i sughi molto saporiti.
In Messico, oltre che sotto forma di
"sugo pronto", venduto in piazza, i pomodori erano utilizzati nei banchetti importanti, insieme a carni di gallina e tacchino alternate a strati di carne di cane.
Oltre che sotto forma di "sugo pronto", venduto in piazza, i pomodori erano utilizzati in Messico nei banchetti importanti, insieme a carni di gallina e di tacchino alternate a strati di carne di cane. Ma anche nella cucina quotidiana il pomodoro appare spesso, fatto andare in casseruola, con le galline oppure con il pesce, "insieme a peperoncino vermiglio e semi di zucca pestati".
Il pomodoro non è tra i prodotti portati da Colombo al ritorno dei suoi viaggi, e certamente i conquistadores lo portarono dal Messico in Europa come una curiosità vegetale.
In Spagna approda attorno al 1500, accreditato come pianta magica e medicinale: le notizie che i marinai partano, insieme ai semi, narrano che nella terra d'origine il pomodoro cura le malattie, ma viene anche usato per preparare filtri magici e afrodisiaci. Tanto che le radici vengono subito commerciate come magico toccasana.
Altre descrizioni più o meno pittoresche appartengono invece a quegli avventurosi pionieri della natura che incominciano con il coltivare la pianta per conoscerla più da vicino e, incuriositi da questi strani frutti, per primi, osano assaggiarli: li descrivono simili alla melanzana, ma poco appetitosi e per nulla nutrienti.
In un codice érbario del 1500 si legge testualmente: "Mangiai di questi frutti in sonde nella paella (padella) con butirro ovvero aglio, ma san di danno e nocivi". Un secolo dopo, e in un altro testo, si insisterà ancora nel definire gli stessi frutti come "alimentum perexigium et yitiosum".
Quando all'alba della Rivoluzione, i pomodori giungono a Parigi dal Sud della Francia (qui, grazie al clima "dolce" crescono generosi e godono di molte simpatie, al contrario del Nord, dove il freddo li rinsecchisce e non gli dà sapore), vengono subito accoppiati alla Marsigliese: gli osti, sensibili al corso politico e al senso degli affari, si impadroniscono della novità e la servono in mille modi, favoriti anche dal colore truculento, molto in linea con gli avvenimenti.
In Italia il pomodoro arriva ufficialmente nel 1600, portato dagli spagnoli, senza però apportare alcuna novità culinaria. In effetti, ci vorrà più di un secolo e l'ingegnosità (stimolata da una fame atavica) dei meridionali per giungere al felice matrimonio del pomodoro con la pastasciutta, anche se sulla paternità di questa invenzione gastronomica non esistono certezze certi carrettieri trapanesi, presto imitati dai contadini della Sicilia orientale, che ai maccheroni o ai vermicelli aggiungono, mentre cuociono nell'acqua bollente, abbondanti filetti di polpa di pomodoro.
In Campania, vera patria d'adozione della "pummarola", la coltivazione su vasta scala del pomodoro comincia in ritardo, benché la prima piantina avesse attecchito sin dal 1596. Quel che è certo è che ancora alla fine del '700 nelle locande di Napoli viene venduto a due centesimi un piatto di maccheroni conditi con un po' di formaggio. Nel frattempo i settentrionali continuano a coltivare il pomodoro come pianta ornamentale.
Il botanico senese Pietro Andrea Mattioli (1500-1570) per primo in Italia lo chiamerà, visto il colore dei suoi frutti in una determinata fase della maturazione, "pomo d'oro".
Da qui l'attuale termine italiano "pomodoro' (plurale "pomodori"), mentre francesi, inglesi, tedeschi continuarono a preferire la voce derivata da quella degli indios messicani: tomate.
Nel 1544, il Mattioli registrava, parlando delle melanzane, che "portasene a' tempi nostri un'altra spezie in Italia, le quali si chiamano Pomi d'oro. Sono queste schiacciate come le mele rose, e fatte a spicchi, di colore prima verdi, e come sono mature in alcune piante rosse, come sangue, e in altre di color d'oro. Si mangiano pur anch'esse nel medesimo modo".
Ossia, ricordiamo, lessati, fatti in fette, infarinati e fritti.
Due secoli dopo, i pomodori avranno già conquistato tutta l'Italia .Scrive Vincenzo Corrado (1734 - 1836), napoletano, autore del Cuoco Galante, uno dei primi é più completi ricettari italiani:
Varie gustosissime vivande si possono fare dei pomidoro; ed infinite conditure col sugo loro si prestano alle carni, ai pesci, all'uova, alle paste, ed all'erbe; onde con ragione da un eccellente cuoco furon li pomidoro chiamati gustosi bocconi, e salsa universale. Quelli pomi non solo dan gusto al palato, ma a sentimento de' fisici facilitano molto con il loro sugo acido la digestione, particolarmente nella loro stagione estiva, che per soverchio calore l'uomo ha lo stomaco rilasciato e nauseante. Sono i pomidoro rotondi, di color zafferano, ed hanno una pellicola, la quale per toglierla bisogna rotolarli su la brace, o pure attuffarle nell'acqua bollente. Per una buca che si farà dalla parte del gambo, o pure divise in due parti si caveranno li semi per poterli preparare con più delicatezza, e piacere".
Comunque, agli inizi la letteratura sul pomodoro é piuttosto rarefatta e questa é la testimonianza più evidente sulla sua scarsa diffusione. Dopo una prima pubblicazione poco diffusa, I pomi d'oro di Giovanni Francesco Angelita Roco, sul modo di coltivarli, uscita nel 1607 a Recanati, un secolo dopo, nel 1705, è Francesco Gaudentio, coadiutore laico per la mensa di una comunità di gesuiti a Roma, che scrive nel Panunto toscano (manoscritto custodito presso al Biblioteca comunale di Arezzo) la prima ricetta sul modo di cuocere i "pomi d'oro". Eccola:
"Questi frutti sono quasi simili alle mele, si coltivano nei giardini e si cuociono nel modo seguente: piglia li detti pomi, tagliali in pezzetti, mettili in tegame con olio; sale, aglio trito, mentuccia di campagna. Li farai soffriggere col rivoltarli spesso e se ci vorrai aggiungere un po' di molignane tenere (melanzane) o cucuzze (zucchine) bianche ci faranno bene".
Soltanto a fine Settecento-inizi Ottocento, il pomodoro verrà "ufficialmente" valutato dai gastronomi e grandi cuochi, a cominciare proprio da Vincenzo Corrado che, dal suo osservatorio privilegiato napoletano, ci fa gustare un primo sapor di pomodoro sopra coscette di capretto steccate di lardelli e foglie di rosmarino fatte cuocere in stufa con butirro ed aromi.
Dalla terza edizione de Il cuoco galante del 1786 (la prima è del 1773) l'attento gourmet presenta pure questa serie di ricette col pomodoro (Trattato uno - Del vitto pitagorico): Farsiti al vitello, Salpicanti, Farsiti al butirro, Farsiti all'erbette, Farsiti al riso, alla Corradina, Farsiti al pesce, alla salsa di tartufi, alla Napolitana, in Crocchette, in Frittelle, in Budino.
Due anni dopo Francesco Leonardi, già cuoco di Sua Maestà Caterina II, imperatrice di tutte le Russie, pubblicherà l'Apicio moderno nella cui seconda edizione del 1797 troviamo la prima ricetta del "culì", ovvero salsa di pomodoro alla francese quanto mai di moda, senza però alcun cenno ad un eventuale abbinamento con la pasta. Dovranno passare ancora una quarantina d'anni per vedere stampata la prima ricetta di vermicelli col pomodoro. D'accordo, non si può certo escludere che in molte case questo felicissimo matrimonio non fosse già avvenuto da qualche tempo, ma quest'uso non si era certamente troppo diffuso.
In effetti, se osserviamo attentamente gli splendidi acquerelli napoletani d'inizio Ottocento scopriamo che sono sempre lì a mostrarci i maccaronari che si abbuffano con le mani di pasta in bianco ancora condita soltanto col formaggio grattugiato o, come si diceva allora, "incaciata".
I primi, storici vermicelli "co le pommodoro" li ha descritti nel 1839 Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino (1787-1860), nel suo libro La Cucina casareccia in dialetto napoletano, appendice de La cucina teorico-pratica. Nella regola dieci del capitolo dedicato alle salse aggiunge : Se ti servisse per preparare maccaroni e qualunque altro tipo di pasta minutella: se poi ti servisse da mettere in cima al bollito, alle uova, ai polli e al pesce non metterci la sugna, ma sarà buono un poco di burro. Fatta questa salsa eccellente, potrà condirvi i vermicelli ma se li condisci con l'olio vengono ancora meglio e più saporiti.
Una trentina d'anni dopo La Cuciniera Genovese di G. B. Ratto uscita nel 1864-65 a Genova e La Vera Cuciniera Genovese del "compilatore" Emanuele Rossi, apparsa nel 1867 a Livorno, presentano numerose preparazioni a base di pomodoro, dalla conserva al sugo semplice e concentrato, all'intingolo per condire minestre e altre pietanze, alla salsa, con la quale si condiscono carne e polli a lesso e costolette di vitella alla milanese fino ad una zuppa da servire con pane tagliato a fette e abbrustolito.
Di qui, ogni regione italiana svilupperà alcuni suoi piatti caratteristici tra i quali dominano molte versioni, tutte diverse, di pomodori ripieni (in Piemonte, in Umbria, nel Lazio ed in Sardegna). I toscani creeranno la pappa col pomodoro, mentre i napoletani li serviranno gratinati, i calabresi arrostiti, ma anche ripieni di cannolicchi ed i siciliani al gratin.
Questo breve percorso nella storia del pomodoro in Italia, dimostra quanto sia stata lenta e difficile la sua introduzione nei nostri consumi quotidiani, e come diventi alimento comune solo a partire dall'Ottocento, anni in cui si sviluppa, parallelamente al consumo del prodotto fresco, un'industria del pomodoro conservato, anche se é doveroso ricordare che la prima bottiglietta di salsa di pomodoro prodotta industrialmente è americana: la dobbiamo a William Underwood di Boston, che nel 1835 apre la prima fabbrica per la conservazione dei pomodori.
L'antenato del concentrato nasce invece a Parma; la famosa conserva nera che, nel 1811, l'agronomo del conte Filippo Re così descriveva in una scheda di presentazione: Non solamente il pomodoro viene adoperato quando è fresco, ma se ne cava dal succo spremuto una conserva che si riduce a consistenza solida e viene adoperata.... per tutto il corso dell'anno.
Spetta a Vincenzo Corrado il merito di aver pubblicato per primo in Italia una ricetta in cui si contempla l'uso del pomodoro. Sono passati quasi tre secoli dal primo viaggio di Cristoforo Colombo verso le Americhe e questa é la prima, timida apparizione ufficiale del pomodoro nella cucina italiana, con una ricetta tanto semplice quanto gustosa che riesce a far ben presagire quale potrà essere il futuro di questo ortaggio sulle nostre tavole.
Pomidori alla certosina (Vincenzo Corrado, 1781)
Si riempiono li pomidoro con salsa d'acciughe, tartufi, e carne di pesce cotta in olio, tutto pesto, e condito di erbette trite; ripieni si friggono e si servono con puré d'altri pomidoro.
Cinquant'anni dopo (ed a 350 anni da quel fatidico 1492) un'altro scrittore, Ippolito Cavalcanti, ufficializza la nascita di quello che da allora in poi sarà considerato il piatto nazionale degli italiani: gli spaghetti con il pomodoro
Viermicelli co le pommodoro (Ippolito Cavalcanti, 1839)
Piglia quatto rotola de pommadoro, le taglie neroce, ne lieve la semmente, e chella acquiccia, e le fai vollere, quanno se sonco squagliate le passarraje pe lo setaccio, e chillo zuco lo farraje stregnere ncoppa a lo fuoco. Mettennoce no terzo de nzogna quanno la sauza s'è stregnuta justa, scaudarraje doje rotola de viermicelli vierdi vierdi, e scolati buoni li mbruogliarraje dint'a chella sauza, nce miette lo sale, e lo pepe, e a calore de fuoco li farraje stà pecchè accossì s'asciuttano e ogne ntanto nce farraje na votata quanno se so tutti sciuveti li siervarraje.
E non manca di codificare anche la "salsa di pomodoro", passe-par-tout culinario buono per insaporire, ingentilire, trasformare ed arricchire qualunque altra vivanda, dalle verdure ai pesci, alle uova, alle carni, fondamentale strumento di esaltazione della nostra cucina, spesso divenuto, ahimé, retorica scorciatoia per arrangiare "all'italiana" qualunque materia prima o ricetta pescate in altre civiltà gastronomiche.
Salsa di pomodoro (Ippolito Cavalcanti, 1839)
Toglierai dalle pomidoro tutto il seme, ed il viscido, ne lesserai rotoli due, e le passerai per setaccio facendoci bollire un mazzetto di petrosemolo, e basilico, che leverai pria di passare le pomidoro; riporrai questo estratto in una casseruola, sciogliendoci once quattro di butiro; ci porrai del sale, e del pepe, e te ne servirai.
Sullo stesso concetto di "salsa di pomodoro", si sofferma Pellegrino Artusi nel suo La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, primo vero testo organico di quella cucina italiana che oggi tutti conoscono ed apprezzano e che possiamo considerare nata ufficialmente proprio con la sua pubblicazione, avvenuta solo cento anni fa.
Salsa di pomodoro (Pellegrino Artusi, 1891)
Fate un battuto con un quarto di cipolla, uno spicchio d'aglio, un pezzo di sedano lungo un dito, alcune foglie di basilico e prezzemolo a sufficienza. Conditelo con un poco d'olio, sale e pepe, spezzate sette o otto pomodori, e mettete al fuoco ogni cosa insieme. Mescolate di quando in quando e allorché vedrete il sugo condensato come una crema liquida passatelo dallo staccio e servitevene. Questa salsa si presta a moltissimi usi, come v'indicherò a suo luogo; è buona col lesso, è ottima per aggraziare le paste asciutte condite a cacio e burro, come anche per fare il risotto.
Da questo momento i poi le preparazioni che vedono il pomodoro come protagonista o comprimario con altri prodotti, dilagano e si moltiplicano, nelle cucine della gente più umile come in quelle raffinate delle corti o dei grandi alberghi, nei ricettari scritti a mano e tramandati di madre in figlia come nei libri di tema gastronomico che ogni giorno di più riescono a conquistarsi una dignitosa considerazione nel dotto mondo dell'editoria.
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