È indubbio che nella grande epopea del rinnovamento del vino italiano un ruolo fondamentale sia stato giocato dai nuovi arrivati, quegli imprenditori provenienti da tutt’altri settori che si sono “inventati” agricoltori, vignaioli e produttori vinicoli. La loro inesperienza, e l’impossibilità di attingere al bagaglio (ma anche al fardello) di conoscenze dei padri e dei nonni, li ha costretti ad agire in modo razionale, al di fuori delle retoriche che si erano consolidate nel settore, ed elaborare propri percorsi tecnici, stilistici, operativi. A fare innovazione, insomma.

Grazie a loro, hanno fatto ingresso nel mondo del vino nuove figure professionali quali esperti di marketing, graphic designers, copywriters, consulenti di comunicazione, che hanno contribuito a dare uno scossone a tutto il settore e una svegliata ai produttori storici che sonnecchiavano un po’, appagati dalla propria posizione di mercato.

 

Questi nuovi protagonisti del mondo del vino, però, si sono distinti anche per un particolare tratto caratteriale: una sorta di infervoramento perenne, un ardore del fare che spesso assume toni di estasi mistica, una dedizione totale al nuovo oggetto dei loro interessi. Ed un acritico amore verso il frutto del loro lavoro che è sempre perfetto, buono, bello, capace di reggere e vincere qualunque confronto.

Ricordano, insomma, certi scapoli impenitenti che ad una certa età finiscono per sposarsi e danno alla luce (loro, non le mogli) il primo figlio. Quarantenni che passano in un batter d’occhi dal night al nido, dal tumbler al biberon, dal caviale agli omogeneizzati, dal Pampero ai Pampers. Che vendono la spider e comprano la station wagon. Ma, soprattutto, che finiscono per parlare solo di quello, maniacalmente ed ossessivamente, non importa chi sia l’interlocutore, amici, parenti, colleghi, clienti, oppure gente incontrata per caso.

 

Ebbene sì, i produttori di recente vocazione sono più padri che vignaioli e, sicuramente, buona parte dei loro successi è dovuta al fatto che curano vigneto, cantina e vino proprio come un primo figlio concepito un po’ in ritardo.

Su questi vigneti di Orione abbiamo visto cose che voi mortali non potete nemmeno immaginare: potature verdi che sono stragi all’arma bianca, coccole alla vite che un viso di donna non ha mai sognato di ricevere, tagli di grappoli che sembrano espianti di organo piuttosto che atti vendemmiali, pigiature più soffici dello sbuffo di un cherubino, fermentazioni dal ribollire sommesso e impercettibile, affinamenti in botti in cui ogni doga è stata assaggiata come fosse lo stecco di un cremino…

Il concepimento si identifica con la potatura, la gravidanza dura fino a settembre, la vendemmia è il parto, e tutto quel che segue è crescita, svezzamento, asilo, scuola. Di volta in volta il nuovo produttore chiama al suo fianco un esperto che lo aiuti. L’agronomo è il ginecologo, l’enologo è il pediatra. Ed entrambi ordinano analisi, test ed esami di laboratorio. Quindi prescrivono trattamenti e medicine, perfino qualche vaccinazione, perché l’erede deve nascere e crescere bello, forte e sano.

Fin qui le due figure coincidono e atti, gesti e intenti del padre e del produttore procedono paralleli permettendoci di saltellare dall’una all’altra con leggiadra intercambiabilità. Finché non interviene un qualcosa che allontana i nostri due personaggi simbolici e li spinge per strade non solo diverse, addirittura contrarie.

Il padre è orgoglioso del suo primogenito e cerca di accompagnarlo amorevolmente per tutto il corso della sua vita. Gli apre ogni porta possibile, lo fiancheggia, lo difende, lo esalta in ogni ambito. E, soprattutto, non lo abbandona, nemmeno in termini di minore attenzione, quando con analoga procedura gli affianca un primo fratello, e poi un secondo, e così via. Il primogenito è lui e viene difeso e portato in palmo di mano anche se crescendo si rivela un po’ fessacchiotto, di scarso valore, cagionevole di salute.


Vogliamo ricordare quanta letteratura ha prodotto questo atteggiamento dei padri verso il loro primo figlio?

Il nuovo produttore vinicolo, che pure è padre del suo figliolo-vino fino al nucleo di ogni sua cellula, appena ne mette al mondo un altro, tradendo la millenaria vocazione genitoriale, ripudia il primogenito e spende ogni sua energia ad accompagnare, esaltare, promuovere e far trionfare il secondogenito. E l’anno successivo tradirà anche il secondogenito e così via, vendemmia dopo vendemmia.

A nulla varrà, ahimé, la considerazione che il vino dell’annata precedente era quanto di meglio un padre-produttore potesse sperare: struttura, eleganza, complessità, armonia, riconoscimenti e attestati di eccellenza dal mondo esterno. Tutti i pensieri, le energie, le capacità, vengono dedicate all’ultimo nato, non importa come sia, quanto valga, che prospettive di successo abbia.

 

LA TRAGEDIA GRECA E IL SUO CONTRARIO

 

Come in una tragedia greca al contrario, il padre-produttore uccide il primogenito per lasciare spazio, potere e gloria al secondogenito.

C’è da chiedersi il perché di un atteggiamento così in contraddizione con le costanti assodate dell’animo umano.

E la tentata riposta, purtroppo, potrebbe essere che quel padre-produttore vive in ostaggio di una sorta di medusa dalle tante teste chiamata “mercato”.

Un mercato che non concede più spazio al valore, che ha fatto della rotazione sullo scaffale la sua regola base, che se ne frega se in cantina hai ancora tremila bottiglie eccelse del 2022 e vuole, anzi, pretende una qualunque cosa del 2023, anche se è una sciacquatura di botte.

Chi ama il buon vino sta percependo questo disagio, la mancanza della calma, dei tempi lunghi della riflessione. Ne soffre e rimedia a modo suo, con spirito pratico.

Se il valore viene espulso dal mercato, nel senso che alle bottiglie di pregio viene concesso lo stesso tempo di vita commerciale dei frizzantini dell’ultima vendemmia, lo va a cercare altrove, nelle cantine degli amici, nelle collezioni di qualche maniaco (benedetti! per fortuna ce ne sono ancora), in qualche ristorante dove un sommelier sprovveduto non ha saputo gestire “intelligentemente” il turnover delle bottiglie.

Cerca e restituisce dignità e vita a queste moderne vittime di una rinnovata strage degli innocenti, colpevoli solo di essere primogeniti.