Negli ultimi 30 anni il vino è molto cambiato. In meglio.
All'origine di questa evoluzione c'è la forte accelerazione impressa dall'introduzione di nuove tecniche e tecnologie, viticole e vinicole, ormai divenute di impiego comune.

Ma questo non riesce a spiegare compiutamente il perché di tanti aspetti della nuova enologia italiana. Il fatto è che nelle nostre campagne, negli stessi anni, non sono cambiate solo le tecniche: in misura ben maggiore, sono cambiati gli imprenditori agricoli. Cambiati nel senso che a quelli tradizionali, che da sempre insistono sul territorio e sono protagonisti al massimo di un cambiamento generazionale, se ne sono affiancati tantissimi fiondati tra i filari all'improvviso da tutt'altri settori: notai, avvocati, commercialisti, industriali, piloti di Jumbo in pensione, artisti, pubblicitari, armatori, intellettuali, medici, manager, politici e così via.

Tutti si sono buttati a capofitto in questa nuova avventura - che è tanto trendy - con l'entusiasmo che accompagna sempre il dilettante, ovvero chi svolge un'attività alla ricerca del diletto piuttosto che del guadagno, e si sono distinti per la ventata di innovazione che hanno portato in un mondo tendenzialmente immobile e tradizionalista.

In verità, questa vocazione ad innovare più che una qualità andrebbe considerata un handicap, un limite, una incapacità ad acquisire il background storico (tecnico, professionale, commerciale) della nuova realtà in cui si sono trovati ad operare, minus al quale si reagisce non risolvendo i problemi ma bypassandoli, lasciandoli insoluti, ma resi inoffensivi grazie ad estemporanee ed inattese invenzioni.

Chi opera da generazioni nel mercato del vino non è tradizionalista per vocazione culturale e politica ma per mera convenienza economica. Sa che i margini sono sempre modesti, che un voltafaccia del cielo può rovinare un raccolto, che un prodotto il più possibile uguale a se stesso (gustativamente, visivamente ed economicamente) annata dopo annata trova sempre la sua collocazione, i suoi clienti, il suo pur piccolo margine di guadagno.

 

DILETTANTI, MA NON ALLO SBARAGLIO

 

I "dilettanti" tutto questo non lo sanno e se glielo racconti non ci possono credere. Se devono decidere un'etichetta godono di decenni di esperienze e riscontri che li possano guidare. Chiamano un grafico e lui risolverà il problema, secondo il suo gusto, la sua cultura ed il suo "genio". Se devono decidere un prezzo, non sono in grado di valutare la soglia di accettabilità del mercato. Fanno la somma dei costi, aggiungono il guadagno che ritengono giusto e quello sarà il prezzo di vendita.

Il loro "non saper come fare" ha trascinato in campagna legioni di consulenti, uomini di marketing e designer, tecnici di merchandising e copywriter, architetti e ricercatori, al punto che l'unico professionista che tra vigneto e cantina bazzicava anche prima, l'enologo, per essere all'altezza si è dovuto ribattezzare "wine maker".

Imbarcato questo popolo sulle loro novelle arche di Noé (ironia delle frasi fatte!) sono partiti alla conquista del mercato e, se non hanno fatto soldi, hanno sicuramente fatto rumore e scardinato le certezze dei loro sonnolenti concorrenti che, in qualche modo, hanno dovuto correre ai ripari e cavalcare anch'essi l'onda del cambiamento.

Tra le cose che questi nuovi imprenditori del vino si sono portati appresso dai loro ambiti imprenditoriali di provenienza vi è una diffusa propensione al narcisismo, al contornarsi di simboli di distinzione che siano testimonianza (spesso preventiva) di successo, eccellenza, supremazia.

Nel mondo imprenditoriale come nei tribunali e nelle cliniche, si esterna il successo attraverso le scelte personali, quali l'orologio, le scarpe, l'abito, l'accendino, la penna, gli occhiali, l'auto, la casa. Ognuno di questi elementi è scelto con cura, con grande attenzione per l'immagine che può riuscire ad esprimere.

Trasferiti in campagna, quella stessa propensione ha condizionato dapprima tutto ciò che ha valenze esteriori, dalle spalliere di rose nei vigneti all'arredo delle cantine, dalla forma della bottiglia alla grafica dell'etichetta, fino all'invenzione del nome che non può più essere comune, agricolo, ruspante, ma deve spaziare nella galassia della creatività più sfrenata.

Ma non basta. Una volta presa confidenza con la materia ed acquisita una certa dose di sicurezza, i paradigmi della loro personalità debordano nel vigneto ed in cantina, ed è tutto un affannarsi di nuovi impianti ed innesti di vitigni strani e arcani, macchinari rivoluzionari e botti e botticelle costruite con legni fatti arrivare da in capo al mondo.

Così, quel vino che all'inizio appariva tanto "strano", ma una volta versato nel bicchiere restituiva sicurezza con l'evocazione di un profilo gustativo comunque atteso, una volta giunti alla fase finale della presa del potere del "dilettante", comincia a mantenere quel che promette. Ovvero qualcosa di nuovo ed inatteso, esattamente come preannunciava quel nome inusuale, quella grafica fuori dagli schemi, quella bottiglia in fuga dalle costrizioni formali consolidatesi attraverso i secoli, quel prezzo folle eppure accettato.

Sembra un racconto di fantaenologia, eppure questa non è altro che la fotografia di quanto è avvenuto e ancora sta avvenendo in Italia, ed è la cronaca di accadimenti che in altri contesti avrebbero creato disastri ed invece, nel mondo del vino, ci permettono, per esempio, di competere finalmente a testa alta coi Francesi, come non avveniva da secoli.

Per i "dilettanti" (a parte i "caduti" in battaglia, che non sono pochi) è una grossa soddisfazione, il coronamento di un sogno che nemmeno la più dissennata vocazione al narcisismo poteva pensare realizzabile. Ma il godimento più grande, intimo e sottile, è sicuramente quello di essere riusciti a moltiplicare all'infinito il piacere di guardarsi allo specchio, e di poterlo fare non con i propri occhi ma con quelli di tutti coloro che posano i propri su una loro bottiglia in bella mostra nelle enoteche e nei ristoranti, e poi con i loro nasi e le loro papille gustative, quando quei vini li bevono.

 

Qualcuno potrebbe (giustamente) recriminare che con questi atteggiamenti hanno sconvolto il mercato, hanno confuso il consumatore, hanno messo in crisi le Doc e le Docg.

Si può concordare, magari aggiungendo che questi nuovi produttori non sono nemmeno tanto simpatici. Ma stappiamo, beviamo e tributiamo loro un affettuoso grazie!

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