GRAMMATICA

 

Particolare abbastanza curioso è che i verbi genovesi subirono nel secolo scorso la perdita del passato remoto. Lo troviamo ancora nelle poesie di Martin Piaggio.
Oggi abbiamo solo l'imperfetto e il passato prossimo fatto con i verbi èse e avèi: con questo si esprimono anche i fatti più lontani (Romolo o l'à fondòu Romma; Dante o l’è staeto in esilio).

INFAMIA

Coloro che si rendevano colpevoli di congiura ai danni della Repubblica subivano normalmente la condanna a morte (decapitazione o impiccagione), la distruzione della casa, l'espulsione dei figli dallo Stato, e non ci si dimenticava di confiscar loro tutti i beni.
Nei casi più gravi si erigevano colonne e lapidi infamanti a perpetua onta dei traditori e monito ai cittadini.
Naturalmente era traditore chi voleva cambiare il governo esistente.


Su un'ala del Palazzo Ducale, in Via Tommaso Beggio, sono murate le lapidi infamanti di Giovanni Paolo Balbi (1610) e Raffaele della Torre (1672) che volevano dare Genova ai francesi e ai Savoia.
Una colonna infame con una lapide che ricorda la cospirazione fu eretta nel '1628 sulle rovine della casa di Giulio Cesare Vachero, verso la metà di Via del Campo. Vachero avrebbe dovuto preparare il terreno al principe Vittorio Amedeo, ma anche sottoposto alle più orribili torture (lo tennero 36 ore alla macchina "della veglia") non volle mai ammettere di essere al servizio del duca di Savoia. È una figura di cupa grandezza: continuò a ingiuriare i suoi torturatori, e quando lo condannarono al capestro volle invece la scure e fu accontentato.

LANTERNA

 

ll Colle di San Benigno era detto Capo di Faro perché fin dai tempi remoti la notte si accendevano fuochi con erica e ginestra per indicare alle navi il luogo d'approdo.
Una torre vi fu costruita nel XIII secolo, e soltanto nel 1326 vi fu posta una grossa lanterna.
Durante il lungo assedio della fortezza della Briglia, anche la torre andò in buona parte distrutta. Nel 1543 si procedette quindi alla riedificazione della Lanterna di 117 metri: si disse che il costruttore Gio Olgiato a lavori ultimati fosse ucciso precipitandolo dalla Torre stessa, perché non avesse occasione di erigerne un'altra altrove.
Come molte costruzioni genovesi, anche la Lanterna servì spesso da prigione: la moglie di Tomaso di Lusignano dovette darvi alla luce il figlio Giano.

 

LEBBROSI

Capo di Faro era la zona dove oggi si vede la Lanterna. Qui, nel 1150, per iniziativa di Buono Martino sorse uno dei primi ospedali d'Italia per lebbrosi, con attigua chiesa di San Lazzaro, ben distante dalle mura della città.
GIi sventurati affetti dal terribile morbo vi erano praticamente rinchiusi a vita. Un sacerdote officiava la messa per gli infermi – o per i morti - poi aspergeva il lebbroso con acqua Santa e lo portava quindi alla "Domus", qui gli posava sul capo della terra tolta dal cimitero, dicendo “muori al mondo, rinasci a Dio".


La lugubre cerimonia si concludeva con la consegna degli indumenti e di alcuni oggetti tra i quali una raganella che era d'obbligo agitare per mettere sull'avviso le persone sane. Esisteva persino una prigione per coloro che avessero trasgredito al divieto di bere ai rivi, alle fontane, ecc.
Diminuita progressivamente la frequenza della terribile malattia, verso la metà del 1800 si procedette alla demolizione degli edifici.

LOTTO

 

Fu inventato dai genovesi (1634) con le scommesse sui “numeri” degli eletti ai Serenissimi Collegi.

Si giocava in quei tempi a "biribis”, "cavagnola", "coccodrillo", “venturella”, “tric-trac ", e in altri modi. La passione per il gioco era grandemente diffusa, come del resto in tanti centri commerciali. A Genova come ad Anversa, tra quei mercanti continuamente soggetti al rischio causato da navi che non giungevano in porto, da affari non conclusi per “atti di Dio ", e nello stesso tempo abituati a imprvvisi notevoli guadagni; e anche tra la gente minuta, che su questi alti e bassi puntava non solo per amore del gioco, si andava formando un atteggiamento disincantato ma non disinteressato nei confronti del denaro, tipico del giocatore d'azzardo.


MAGNASCO

 

Pittore genovese (1667-1249), di nome Alessandro ma detto il Lissandrino a causa della sua piccola statura. Orfano di padre andò presto a Milano dove passò quasi tutta la vita, componendo tele colme di rapide e sprezzanti annotazioni, figure come macchiette, tempestosi e sinistri paesaggi.
Ouando infine tornò a Genova, il suo stile maturo destituito di ogni armonia esteriore ma tutto volto a una funzione espressiva piacque poco ai suoi concittadini, abituati al vuoto gusto decorativo dello Strozzi, dei De Ferrari, di Fiasella.
Eppure, una delle ultime opere, il Ricevimento in una villa . genovese, mostra un ritmo compositivo più disteso, come un cruccio che si plachi di fronte all'antico paesaggio e all'antica umanità.

MALAPAGA

 

I falliti e gli inadempienti non potevano rimanere impuniti. Nel 1269 si costruì per loro la prigione della Malapaga, presso il Molo Vecchio. Ebbe grande successo, e fu abolita soltanto nel 1850.
Negli ultimi tempi fino alla demolizione (avvenuta agli inizi del Novecento) era ridotta a caserma delle RR. Guardie di Finanza.
Venne usata anche per altri scopi: nel 1341 vi fu chiuso in una gabbia di legno il marchese Giorgio del Carretto perché aveva tramato contro la Repubblica popolare.
Durante la famosa rivoluzione del 1746 i popolani aprirono la porta della Malapaga per far uscire i detenuti a combattere (compreso il patrizio Cristoforo Spinola, fatto arrestare dai suoi creditori).

MASSENA

E' il valoroso generale di Napoleone che difese strenuamente Genova assediata dall'esercito austriaco. Dovette infine arrendersi per fame il 4 giugno '1800.
Genova segue, insomma, in questo periodo le fortune di Napoleone; dopo l’esilio all'isola d'Elba, si cercò di dar vita a una repubblica ligure sotto la presidenza di Gerolamo Serra: fu l’ultimo tentativo di indipendenza, perché il trattato di Vienna fra le grandi potenze nel 1815 decretò che la Liguria fosse annessa al regno dei Savoia. ll 7 giugno dello stesso anno Vittorio Emanuele l ne prendeva ufficialmente possesso.
Finiva così, con l'abbandono delle speranze nate dalla Rivoluzione francese, la lunga storia dell'indipendenza di Genova.

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